24 de julio de 2018

Conferencia Magistral

La decoración de la Chiesa Nuova Santa María in Vallicella:

una catequesis de la imagen

Expositor:  DR. ALBERTO BIANCO

La decorazione della chiesa di Santa Maria in Vallicella così come la vediamo oggi è il risultato di una serie di interventi successivi di cui noi oggi considereremo il primo in ordine cronologico che ha come – protagonista il santo fondatore dell’ordine oratoriano, Filippo Neri.

Al progetto voluto da Filippo seguirono delle modifiche che si possono riassumere in tre diversi interventi di cui qui non tratteremo.

Mi auguro di non essere così noioso e di suscitare la vostra curiosità in modo da poter esaminare insieme anche queste fasi successive:

– La prima ha come protagonisti il cardinale Baronio e la prima generazione dei padri dopo la morte del fondatore e la committenza a Rubens e a Caravaggio.

– La seconda ebbe luogo a metà dei seicento, il secolo d’oro della Congregazione ed ebbe come protagonisti padre Virgilio Spada dalla parte oratoriana e Francesco Borromini con Pietro da Cortona come artisti.

– L’ultima fase si può ricondurre al giubileo del 1700 con il padre Sebastiano Resta che sovrintese all’edificazione della cappella Spada negli spazi che erano serviti come sede dell’antico oratorio e la realizzazione del ciclo pittorico delle 15 tele di grandi dimensioni note come il ciclo della Salvazione umana che decorano le pareti delle due navate, del transetto e del coro.

Filippo sviluppò un rapporto con l’arte che fu nello stesso tempo estetico e devozionale considerando le immagini sacre come uno strumento di preghiera a cui conferire valore di esercizio spirituale. Leggiamo nel Bacci che Filippo traeva giovamento spirituale dalla contemplazione di alcune immagini sacre e lui stesso raccontava che facendo orazione davanti all’immagine della Vergine era stato liberato da molti spaventi messigli dal demonio. Nel De origini Oratorii (un breve trattato sulle origini della Congregazione di autore anonimo) è sottolineato quanto fossero importanti le arti figurative per la nuova Istituzione attribuendo alle immagini una funzione didattica e di richiamo ai sacri misteri. Per comprendere le idee di Filippo sul valore dell’arte dobbiamo fare riferimento alla sua predilezione per gli stimoli visivi contestualizzandoli in relazione alla controversia sulle arti figurative durata per tutto il Cinquecento. Sul tema delle arti figurative la matrice comune dei riformatori cattolici è la ferma opposizione alla campagna di demonizzazione condotta dalla Riforma protestante.

Le immagini sono un inesauribile strumento per la preghiera perché non solo riportano alla mente le storie evangeliche e inducono i fedeli a seguire l’exemplum dei santi ma sono un opportunità per istruire le persone che non erano in grado di leggere trasmettendo loro brani di storia della chiesa e costituiscono un privilegiato luogo d’incontro con il divino, il culmine di un percorso mistico di ascesi. Quando Filippo si commuove davanti al crocifisso o si reca nella cappella della Visitazione e si raccoglie in preghiera di fronte alla pala del Barocci non fa che sottolineare il valore fondamentale delle immagini come autonomo strumento di rivelazione del divino, un tramite per cui si passa dal visibile all’invisibile. Un’immagine sacra davanti agli occhi permette di trattenere più a lungo e con più efficacia Dio nel cuore. Per Filippo le rappresentazioni esterne costituiscono il tramite necessario più intuitivo ed immediato per mettere in contatto l’umano con il divino e se da un lato, attraverso le forme fisiche il divino si palesa agli uomini, dall’altro attraverso la contemplazione l’uomo si eleva a Dio.

Il programma decorativo venne pianificato fin dall’inizio da Filippo Neri con una precisa intenzione pastorale, quella di attuare una catechesi per immagini. Fondamentale nella politica culturale dell’Oratorio fin dai suoi esordi è la devozione a Maria Vergine il cui culto fu promosso dalla Congregazione in antitesi al protestantesimo e in applicazione alle disposizioni tridentine. Il proposito di Filippo fu dunque quello di esaltare nella sua chiesa la figura di Maria nel mistero della redenzione umana attraverso un itinerario didattico-spirituale che dimostrasse il ruolo della Vergine nella storia dell’umanità, grazie a un programma iconografico articolato per 12 episodi salienti della sua vita. Essa è rappresentata cronologicamente in modo antiorario iniziando dalla cappella del transetto sinistro con La presentazione di Maria al tempio per finire nel transetto destro con l’Incoronazione di Maria assunta in cielo. L’intera decorazione delle cappelle doveva essere coerente con i soggetti delle pale d’altare. I temi rappresentati si ispirarono in parte ai misteri del rosario, raffigurando i passi scritturistici più significativi nei quali la Vergine è protagonista. Anche quando i dipinti mostrano delle scene cristologiche come la Deposizione o l’Ascensione, la Madonna è una presenza attiva, mediatrice di grazia ed ausiliatrice. Maria che era stata prescelta ancor prima della creazione del Mondo (Efesini 1,4) come madre del Verbo incarnato è il primo passo verso la nascita dell’umanità redenta da Cristo e l’origine della Chiesa.

In un documento ACOR, C I 26 “Condizioni con le quali si ha da concedere le cappelle” si fa esplicito riferimento al programma di intitolazione delle cappelle ideato da Filippo.  Le condizioni di cui parla il documento venivano subordinate al consenso della Sede Apostolica e rispecchiavano le direttive impartite dal cardinale Savelli, Vicario di Roma, in occasione delle visite apostoliche alle chiese romane attuate al fine di applicare sul territorio le norme del Concilio di Trento.

E’ importante ricordare che in questa iniziativa pastorale voluta dal cardinale Vicario nel 1569 furono coinvolti anche alcuni sodali filippini come il Tarugi e il Bozio ancor prima del riconoscimento ufficiale del movimento sorto intorno a Filippo, arrivato nel 1575. Tale occasione di collaborazione – oltre a rappresentare una completa sinergia tra la gerarchia ecclesiastica e il movimento nato intorno a Filippo – permise a questi oratoriani ante litteram di intervenire sul degrado degli edifici sacri e dei loro arredi acquisendo un’esperienza e una sicurezza che ritornò utile nel momento in cui fu affidata loro la parrocchia della Vallicella. Nel 1575, il primo anno giubilare indetto dopo la conclusione del concilio di Trento, Filippo vide il sodalizio di sacerdoti che viveva con lui diventare una Congregazione religiosa di preti e laici, istituita con la bolla Copiosus in Misericordia Dominus da papa Gregorio XIII. Nello stesso documento si fa menzione al luogo che viene assegnato al nuovo organismo religioso per lo svolgimento del suo ministero: la chiesa parrocchiale di santa Maria in Vallicella. La chiesa dedicata alla Natività di Maria, a navata unica con tre cappelle laterali, era stata trascurata dai precedenti rettori tanto che all’arrivo dei padri essa si trovava in condizioni fatiscenti. La Congregazione consultò un architetto, Matteo Bartolini da Città di Castello che, esaminate la struttura e le fondamenta, stabilì che sarebbero stati necessari ingenti lavori di restauro tali da consigliare la demolizione dell’edificio esistente e la costruzione di una nuova chiesa. La decisione di demolire la fatiscente chiesetta ebbe effetto immediato.

La nuova chiesa che sarà per antonomasia chiamata “Chiesa Nuova” mantenne l’antica dedicazione mariana alla quale si aggiunse, in omaggio al pontefice regnante, il titolo di S. Gregorio Magno.

Padre Filippo prima e la Congregazione poi mantennero il controllo delle immagini raffigurate all’interno della Vallicella attribuendo al contenuto delle pitture ammesse nella decorazione della chiesa un significato prioritario. Sul finire del 1580, il ricco e dotto cardinale Pier Donato Cesi (1522-1586) si avvicinò alla Congregazione degli oratoriani prendendola sotto la sua protezione. La presenza del cardinale segnò per la Congregazione il passaggio dal controllo esclusivo sulla fabbrica e sulle commissioni artistiche alla legittimazione di una figura di protettore-committente munito di importanti prerogative che potevano mettere in crisi l’autonomia degli Oratoriani. Tuttavia, non fu la presenza del cardinale Cesi e successivamente del fratello Vescovo d Todi, ad alterare il programma decorativo ideato da Filippo che ancora oggi possiamo ammirare.

Punto di partenza di questo percorso concepito come una Via Vitae della Vergine, è l’altare maggiore già riservato alla Natività di Maria. Fu commissionato a Federico Barocci la realizzazione di un dipinto con questo soggetto che non fu mai consegnato. Nel 1606 la Congregazione decise di trasferirvi l’antica immagine miracolosa della Vergine vallicelliana che si trovava dipinta sul muro esterno di un edificio vicino alla vecchia chiesa, quando (nel 1535) fu colpita da un sasso lanciato da un giocatore ubriaco e incominciò a sanguinare. Questa sostituzione (la pala della Natività di Maria con l’antica icona vallicelliana) rappresentò la principale variazione del programma decorativo ideato da Filippo anche se non ne alterò il significato.

Viene legittimo chiedersi perché questo programma decorativo non fu realizzato a partire della sua origine concettuale? La decorazione pittorica della Chiesa Nuova progredì parallelamente allo sviluppo della fabbrica e l’altare maggiore con la tribuna furono le ultime parti dell’edificio ad essere costruite. Il grande successo che riscosse la pala della Visitazione (1586) indusse la congregazione a richiedere al Barocci, che si può considerare definitivamente il pittore prediletto da san Filippo, altre tre pale delle quali solo una fu realizzata dopo 10 anni di attesa, la Presentazione di Maria al Tempio. Barocci non godeva di una buona salute, poteva lavorare solo per brevi periodi durante il giorno non riuscendo a smaltire la grande quantità di opere che gli furono commissionate.

Filippo, toccato in prima persona dalla grazia dello spirito santo infuso nel suo petto, muove dalla consapevolezza del principio che Maria è il Tempio dello Spirito Santo e questo principio è alla radice della scelta iconografica dei soggetti dei quadri della Vallicella. Essi sviluppano i temi mariani in modo così circostanziato e aderente ai sacri testi che mentre descrivono un episodio della vita della Vergine, lo commentano, essendo a un tempo preghiera, predica e inno a Maria.

Nove su dodici dipinti sono tratti dai misteri del Rosario. L’infanzia e la giovinezza di Maria sono trattate nelle cappelle di sinistra dove si dimostra la causa-effetto dello spirito santo. Gradualmente si arriva nella navata destra dove si passa dalla vita sulla terra alla vita celeste, dalla vita “con la grazia” alla vita “nella grazia”. Le decorazioni sulle volte delle cappelle sviluppano programmi iconografici correlati alle rispettive pale d’altare, offrendo altri spunti di meditazione.

La presentazione di Maria al tempio. Commissionata nel 1593 e consegnata dieci anni dopo, la pala affronta un tema tratto dai Vangeli apocrifi la cui celebrazione soppressa da Pio V fu ripristinata da Sisto V nel 1585. Forse la decisione papale influì sulla decisione di inserire questo episodio dell’infanzia della Vergine che rappresenta l’inizio del percorso biografico della vita della Vergine. L’opera è costruita prospetticamente sull’asse della scala dove i personaggi disposti lungo le direttrici di due diagonali sottolineano la figura della vergine bambina, punto focale del dipinto. La presentazione segna la totale e consapevole consacrazione a Dio di Maria, il primo passo del suo percorso di santità. Nell’episodio narrato nel protovangelo di Giacomo un ruolo importante è assunto da Anna e Gioacchino che sebbene anziani vengono coinvolti nel miracoloso concepimento consapevoli del ruolo della figlia nell’opera di riscatto dell’umanità. Un angelo a sinistra porta delle rose e dei fiori bianchi che alludono alla Immacolata Concezione di Maria.

Nella cappella successiva è descritta l’Annunciazione, l’incontro dell’arcangelo Gabriele con la Vergine, il momento in cui ha luogo l’incarnazione del Verbo nel seno di Maria. Nel dipinto di Passignano il concetto dell’Immacolata Concezione è ribadito dalla simbologia floreale: si notino le rose esibite dagli angeli nella parte alta del dipinto e grande risalto assume il vaso di vetro al centro del quadro con rose bianche e mughetti che sottolineano con il loro candore la purezza di Maria. Sulla cornice del timpano appaiono i simboli di alcuni appellativi mariani che dalla loro definizione latina che veniva usata durante la recita delle litanie che per la maggior parte dei fedeli dovevano risultare concetti astratti spesso incomprensibili, assumono un aspetto e una forma concreta rendendosi visibili:

Porta clausa: città circondata di mura e fortificata, al centro figura soli seduta in un trono

La porta clausa di Ezechiele (44, 2,3) e l’ Hortus conclusus (giardino chiuso con sul davanti tre gradini che portano a una porta chiusa nel mezzo di una balaustra, dietro la quale si vede una fontana, il fons signatus (fonte sigillata; signum è il sigillo) sono epiteti (Cantico  4,12), che  evocano il nascondimento e la verginità di Maria, non fecondata da seme umano.

Stella Matutina: si vede il sole alzarsi da dietro un monte, a destra una stella e sul davant figure in adorazione. (Quasi stella matutina in medio nebulae, Eccles. 50, 6). Maria è allo stesso tempo l’araldo della nuova aurora e la stella che precede il sole di giustizia.

Templum Salomonis: davanti ad un tempio con sette colonne si vede una figura muliebre che ha in mano un libro (liber sapientiae). Dio nella sua sapienza preparò il corpo e l’anima della Beata Vergine quale sua abitazione ed i pilastri di questa abitazione sono le sette virtù teologali.

Sedes sapientiae: dietro una tenda si vede la sede in forma di trono posto sotto un baldacchino. I sette gradini che vi conducono simboleggiano i sette doni dello Spirito Santo e significano allo stesso tempo l’ascensione dell’umanità verso Dio, attraverso Maria che è sede della Sapienza, poiché porta in sé colui che è la sapienza del Padre, Gesù Cristo, venuto per illuminare ogni uomo.

Vitis abundans et arbor sapientiae, cioè la vite fruttifera e l’albero della Sapenza. La vite che si vede a sinistra e dalla quale varie figure colgono l’uva è prototipo della Madonna e del Cristo che ci nutre del suo sangue sotto la specie eucaristica del vino. La vite è messa in contrasto coll’albero nel giardino dell’Eden che si vede sullo sfondo, fiancheggiato da Adamo ed Eva, figure allusive al Cristo, nuovo Adamo e a Maria quale nuova Eva, per azione dei quali l’albero della Sapienza è trasformato in albero di vita.

Civitas sancta: ossia la nuova Gerusalemme (così viene definita Maria in Ap 21,2).

La città sorge su un alto monte intorno al quale si vedono figure danzanti e giubilanti.

Nel suo dialogo, l’arcangelo Gabriele spiega a Maria che il suo concepimento per intervento divino sarà virginale e le fà l’esempio della sua parente Elisabetta che, seppure vecchia e sterile, ha da sei mesi concepito il Battista. E’ il tema affrontato nel quadro della successiva cappella, la Visitazione. Questo dipinto era particolarmente amato da Filippo davanti al quale si tratteneva in preghiera. Per l’essenzialità della composizione e l’espressività dei personaggi, ispirata a sentimenti di cristiana letizia, si è giustamente parlato di un’affinità spirituale tra il pittore e il Santo. Possiamo ritenere la Visitazione l’opera più emblematica della religiosità del Santo, di cui Barocci fu l’interprete più sensibile. L’incontro tra Maria ed Elisabetta è un nuovo incontro con lo Spirito Santo. La volontà di Maria di condividere la gioia della maternità e il desiderio di rendersi utile alla cugina, la spinge ad affrontare il viaggio per raggiungerla. E’ già questo un segno di carità cristiana attraverso il quale Maria trasmetterà la grazia di cui è ricolma. Tutto si esplicita nella gioia del saluto che non appena pronunciato da Maria fa esplodere in Elisabetta lo Spirito Santo e Giovanni Battista danza nel ventre di Elisabetta riconoscendo il Messia, compiendo così la prima espressione della sua missione di precursore. Le parole pronunciate da Elisabetta ribadiscono e completano il messaggio dell’Angelo dell’Annunciazione e Maria pronuncia il Magnificat, il cantico di ringraziamento a Dio che ha ricolmato di doni la sua stessa povertà. Sono questi temi, cari a san Filippo, prodigo nei confronti degli umili e dei poveri ai quali ha elargito i doni che egli stesso aveva ricevuto da Dio. Questo è l’insegnamento della Visitazione: Maria ha ricevuto la Grazia perché sia comunicata a tutti. Quando Maria rende grazie a Dio, dà compimento alla grazia ricevuta. Il nesso tra i personaggi della scena è fortissimo: Elisabetta loda Maria ed Ella loda Dio, ogni grazia termina in azione di grazia.

Conoscendo il controllo della Congregazione sull’iconografia delle pale d’altare, desta curiosità la veduta di Urbino con le stallacce e la chiesa di san Francesco. Questa veduta ha un valore politico religioso, richiamando simbolicamente la presenza del duca di Urbino, Francesco II della Rovere e ricordando il suo legame con la Congregazione esplicitato nel tentativo di affidare i vescovati di Urbino e di Senigallia a Tommaso Bozio e a Cesare Baronio.

La presenza di Sapienza e Fortezza nel sottarco si riferisce a quanto annunciato dall’arcangelo Gabriele a Zaccaria, padre del Battista, prima della visita di Maria: “Il Battista lo precederà con lo Spirito e la Fortezza di Elia per ricondurre i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto” (Luca 1,1).

Con la cappella dedicata alla Natività di Gesù, si giunge ad un punto saliente nel percorso devozionale. Siamo al centro della navata sinistra in significativa simmetria nella navata destra con l’episodio dell’Ascensione il termine estremo della vicenda terrena di Cristo. Nella pala della Natività di Durante Alberti è introdotto un elemento iconografico inequivocabilmente allusivo al sacrificio di Cristo: l’agnello con le zampe legate vicino alla culla. Il tema della morte viene sviluppato nella decorazione della cappella: nel sottarco gli stucchi raffigurano il calice e la patena, la navicella e il turibolo fanno riferimento al sacrificio di Cristo che si rinnova nella messa attraverso l’Eucarestia. Gli angeli con le palme alludono al sacrificio dei martiri che, guidati dallo spirito santo, hanno imitato Cristo.

La cappella successiva è dedicata all’Adorazione dei Magi. L’opera di Cesare Nebbia ripropone la solita iconografia dei tre re in adorazione del Bambino. Nell’Epifania si commemora la rivelazione della divinità di Cristo ai Gentili, ossia ai pagani, ai non ebrei rappresentati dai Re Magi, espressione della chiesa universale. Ciò può spiegare la presenza di san Paolo sulla volta, l’Apostolo dei Gentili, e degli evangelisti Marco e Luca entrambi compagni di Paolo nell’attività di apostolato.

L’ultima cappella della navata sinistra ospitava l’effigie miracolosa della madonna Vallicelliana che viene trasferita sull’altare maggiore. La realizzazione del dipinto che la sostituì è piuttosto tarda, Filippo è morto da venti anni e in Congregazione si discute se rappresentare sant’Agostino e Carlo in onore del patrono della cappella, il cardinale Agostino Cusano. Al termine delle discussioni, prevale la volontà di rispettare il programma iconografico originario che prevede per tutte le cappelle la rappresentazione di un episodio della vita della Vergine. Si stabilisce di raffigurare sulla volta i santi Agostino e Monica (madre di Agostino) in onore del cardinale e sant’Ambrogio, protettore della città di Milano, città natale del committente. L’episodio della Purificazione di Maria segna un’altra tappa sul percorso di esaltazione della Vergine in funzione cristologica rappresentando il momento in cui Simeone riconosce in Gesù il Messia che il personaggio barbuto sulla destra, attraverso il movimento delle dita, indica come l’Unigenito. Nello stesso incontro, Simeone predice alla Vergine la Gloria e il Sacrificio di Gesù e il dolore che dovrà sopportare. L’episodio segna una logica congiunzione nella narrazione di questo percorso attraverso le immagini. Siamo nella prima cappella della navata destra, dedicata alla Crocifissione di Gesù.

Dei misteri dolorosi ricordati nella preghiera del Rosario sono stati scelti due soggetti (la Crocifissione e la Deposizione) in cui è rappresentata con grande evidenza l’addolorata partecipazione di Maria al martirio del Figlio sulla croce. Il drammatico quadro della Crocifissione di Scipione Pulzone, in cui il corpo esanime del Cristo sulla croce si staglia su un compatto fondo scuro, mettendo in risalto le figure della Vergine, di Giovanni e della Maddalena ai piedi della croce, ebbe un grande successo di pubblico. Solo al padre Velli, si legge in una lettera, dava fastidio una goccia di sangue che cade sul volto del crocifisso mentre la scia di sangue che scorre lungo e braccia del Cristo sembrano voler sfidare la legge di gravità. Nella storia della salvazione del genere umano sono preliminari l’intercessione di Maria e il sacrificio del Figlio. Così Maria partecipa alla passione di Cristo nella pala di Scipione Pulzone e in quella della deposizione di Caravaggio dipinto che si trova oggi nella Pinacoteca Vaticana.

La cappella successiva ospitava un dipinto che rappresentava la Pietà realizzata da un autore sconosciuto che aveva raffigurato insieme all’episodio della passione anche l’effigie di Gregorio XIII. Questo quadro fu sostituito nel 1602 probabilmente proprio per la presenza del papa che, sebbene molto legato alla Congregazione, era pur sempre un personaggio contemporaneo e come tale ritenuto d’ostacolo al processo meditativo. La Deposizione di Caravaggio si svolge la sera del venerdì Santo nell’hortus citato nel vangelo di Giovanni, ambientazione cui allude la presenza del fico sullo sfondo. Cristo è sorretto da Giovanni Evangelista e da Giovanni d’Arimatea. Dietro vediamo la Vergine con le braccia aperte e lo sguardo teso verso il figlio morto, la Maddalena che asciuga le lacrime con un fazzoletto e Maria di Cleofa che dà voce al proprio dolore volgendo le braccia verso l’alto. La forza drammatica presente nel dipinto è attutita da alcuni elementi che alludono alla vittoria sulla morte. La pietra sepolcrale in scorcio è la pietra angolare ovvero Cristo secondo la metafora del Salmo 118,22, “la pietra rifiutata dai costruttori è divenuta testata d’angolo” così come Cristo respinto ucciso e sepolto viene esaltato con la Resurrezione dai morti. Gli stucchi alla base dell’arco raffigurano due angeli con gli strumenti della passione, la corona di spine e i chiodi della croce e nel sottostante riquadro è dipinta la Pietà, momento intermedio tra la crocifissione e la sepoltura. Al centro del sottarco, due angeli sostengono il lenzuolo che riporta la sacra effigie della Sindone, cioè del corporale in cui gesù fu avvolto e che trattenne l’impronta del suo corpo.

Segue la cappella dell’Ascensione per la cui pala la Congregazione stabilisce che vi sia dipinta la Madonna in coerenza con il programma mariano ideato da Filippo, anche se il racconto biblico narra che Gesù salì al cielo con il suo corpo alla presenza dei suoi apostoli per unirsi fisicamente al Padre. Al tema del martirio quale massimo esempio di imitazione di Cristo richiamano gli strumenti della passione dipinti nel sottarco: la croce, la colonna, la scala, la lancia con la spugna, il velo della Veronica. Cristo, prima di salire al cielo istruisce gli apostoli sulla loro futura opera di evangelizzazione, annunciando loro che sarebbero stati battezzati nello Spirito Santo, tema che ci porta alla cappella successiva. La discesa dello Spirito Santo sugli apostoli e la Vergine. Nel sottarco sono raffigurati alcuni episodi tratti dall’Antico Testamento in cui è descritta l’operosità dello Spirito Santo: la colonna di fuoco che guida gli ebrei fuori dall’Egitto (Esodo 13,21); la visione delle ossa aride riportate in vita dallo Spirito Santo come raccontato da Ezechiele (37, 1-14); dodici trombe, che alludono ai dodici apostoli.

La cappella successiva, dedicata all’Assunta offriva un ricco programma iconografico, oggi andato in parte perduto. Sui lati esterni dei pilastri, in stucco, si può ancora vedere l’Arca di Noè e Giona inghiottito dalla balena: i temi allusivi alla Resurrezione e al patto della salvezza rimandano alla glorificazione di Maria, elemento di intercessione tra Dio e gli uomini per la loro salvezza eterna. L’arco della cappella è adorno di formelle in stucco dorato – alla maniera della cappella dell’Annunciazione che le sta di fronte – in cui sono raffigurati episodi dell’antico testamento, connessi alla figura di Maria. Al centro dell’arco la Madonna Vallicelliana, a sinistra Abramo ospita i tre angeli che gli annunciano che Sara partorirà un figlio: la scena prefigura l’annunciazione, i tre angeli simboleggiano la Trinità. Di seguito, Il sacrificio di Abramo che sta per uccidere Isacco, metafora del sacrificio della croce che non dev’essere intesa come un puro fatto immanente alla storia, bensì come intervento di Dio che si presenta agli uomini come il suo messaggio liberatore e nello stesso tempo vincolante. Il sogno di Giacobbe: una notte Giacobbe fece un sogno in cui vide una scala da terra si protendeva sino in cielo, con angeli che salivano e scendevano. Nel sogno Dio gli parlava, promettendogli la terra sulla quale stava dormendo ed un’immensa discendenza. La scala di Giacobbe è simbolo che richiama la Madonna (scala Coeli) per la quale Dio scese verso l’umanità facendosi uomo e l’umanità può risalire verso Dio. Dall’altra parte dell’arco, a destra della vergine vallicelliana, l’albero di Jesse, ossia l’albero genealogico di Cristo e di sua Madre, incominciando da Jesse, padre di Davide. Tra i rami si vedono figure di re e di principi, tre da ogni parte, ed alla testa dell’albero poggia l’immagine della Vergine. Di seguito, I leviti portano l’arca dell’alleanza, simbolo della Madonna che viene venerata come Foederis Arca nelle sue litanie perché ha accolto Gesù, colui che è la nuova ed eterna alleanza. Nell’ultimo riquadro, Ester genuflessa davanti ad Assuero che le porge il suo scettro dorato in segno di perdono. Ester che, come Giuditta, liberò il suo popolo e portò la salvezza ad Israele, è prototipo della Vergine che cambia le sorti dell’intera umanità, dando alla luce il Verbo.

L’ultima tappa di questo percorso è la cappella dell’Incoronazione della Vergine tratta da un Vangelo apocrifo. Nonostante la commissione al Cavalier d’Arpino risalisse al 1592, il pittore consegnò il grande quadro solo nel 1615 con disappunto dei Padri che pretesero immediati e significativi ritocchi perché il dipinto non corrispondeva alle aspettative della Congregazione non tanto per motivi estetici quanto iconologici: nella prima versione, la Vergine che si mostrava con il mantello sul capo e a mani giunte con gli avambracci protesi verso Cristo in un atto di preghiera offriva di sé un’immagine di fede e di speranza. Successivamente, effettuate le modifiche volute dagli oratoriani, la flessione delle mani al petto trasforma la scena in una immagine di accoglienza: la Vergine infatti è al cospetto dell’Altissimo, ricolma di carità. E’ dotata della terza virtù teologale, la più grande, quella cui fa riferimento san Paolo quando invita gli uomini all’unità in Cristo nella prima lettera ai Corinzi (13,13).

Ancora una volta, gli oratoriani dimostrarono di avere le idee molto chiare su come le sacre immagini dovessero essere rappresentate.

Nella sequenza scenica un nuovo strumento di conoscenza espresso per immagini favorisce l’apprendimento del fedele della parabola terrena e celeste di Maria, Madre della Chiesa e dell’umanità redenta in Cristo, attraverso il concatenamento degli episodi raffigurati di cappella in cappella. Si tratta di una sequenza connessa logicamente corrispondente anche se non coincidente con la corona del rosario, il breviario dei poveri, e come il rosario diventa uno spunto di meditazione sul Vangelo rivissuto in queste 12 stazioni.

Numerose sono le cronache che narrano come i visitatori che entravano alla Vallicella si esprimessero con termini entusiastici ritenendo di trovarsi, per la quantità delle opere d’arte e per la varietà delle scuole pittoriche rappresentate, in un museo sacro. Tutti i dati e le testimonianze sulla personalità di Filippo indicano che lui pensava esattamente il contrario: egli non considerava che queste opere rappresentassero una collezione d’arte poiché ne apprezzava prima di tutto la dimensione devozionale,  ritenendole lo strumento di preghiera capace di trattenere più a lungo e con più efficacia Dio nel cuore.

La decorazione della chiesa di Santa Maria in Vallicella così come la vediamo oggi è il risultato di una serie di interventi successivi di cui noi oggi considereremo il primo in ordine cronologico che ha come – protagonista il santo fondatore dell’ordine oratoriano, Filippo Neri.

Al progetto voluto da Filippo seguirono delle modifiche che si possono riassumere in tre diversi interventi di cui qui non tratteremo.

Mi auguro di non essere così noioso e di suscitare la vostra curiosità in modo da poter esaminare insieme anche queste fasi successive:

– La prima ha come protagonisti il cardinale Baronio e la prima generazione dei padri dopo la morte del fondatore e la committenza a Rubens e a Caravaggio.

– La seconda ebbe luogo a metà dei seicento, il secolo d’oro della Congregazione ed ebbe come protagonisti padre Virgilio Spada dalla parte oratoriana e Francesco Borromini con Pietro da Cortona come artisti.

– L’ultima fase si può ricondurre al giubileo del 1700 con il padre Sebastiano Resta che sovrintese all’edificazione della cappella Spada negli spazi che erano serviti come sede dell’antico oratorio e la realizzazione del ciclo pittorico delle 15 tele di grandi dimensioni note come il ciclo della Salvazione umana che decorano le pareti delle due navate, del transetto e del coro.

Filippo sviluppò un rapporto con l’arte che fu nello stesso tempo estetico e devozionale considerando le immagini sacre come uno strumento di preghiera a cui conferire valore di esercizio spirituale. Leggiamo nel Bacci che Filippo traeva giovamento spirituale dalla contemplazione di alcune immagini sacre e lui stesso raccontava che facendo orazione davanti all’immagine della Vergine era stato liberato da molti spaventi messigli dal demonio. Nel De origini Oratorii (un breve trattato sulle origini della Congregazione di autore anonimo) è sottolineato quanto fossero importanti le arti figurative per la nuova Istituzione attribuendo alle immagini una funzione didattica e di richiamo ai sacri misteri. Per comprendere le idee di Filippo sul valore dell’arte dobbiamo fare riferimento alla sua predilezione per gli stimoli visivi contestualizzandoli in relazione alla controversia sulle arti figurative durata per tutto il Cinquecento. Sul tema delle arti figurative la matrice comune dei riformatori cattolici è la ferma opposizione alla campagna di demonizzazione condotta dalla Riforma protestante.

Le immagini sono un inesauribile strumento per la preghiera perché non solo riportano alla mente le storie evangeliche e inducono i fedeli a seguire l’exemplum dei santi ma sono un opportunità per istruire le persone che non erano in grado di leggere trasmettendo loro brani di storia della chiesa e costituiscono un privilegiato luogo d’incontro con il divino, il culmine di un percorso mistico di ascesi. Quando Filippo si commuove davanti al crocifisso o si reca nella cappella della Visitazione e si raccoglie in preghiera di fronte alla pala del Barocci non fa che sottolineare il valore fondamentale delle immagini come autonomo strumento di rivelazione del divino, un tramite per cui si passa dal visibile all’invisibile. Un’immagine sacra davanti agli occhi permette di trattenere più a lungo e con più efficacia Dio nel cuore. Per Filippo le rappresentazioni esterne costituiscono il tramite necessario più intuitivo ed immediato per mettere in contatto l’umano con il divino e se da un lato, attraverso le forme fisiche il divino si palesa agli uomini, dall’altro attraverso la contemplazione l’uomo si eleva a Dio.

Il programma decorativo venne pianificato fin dall’inizio da Filippo Neri con una precisa intenzione pastorale, quella di attuare una catechesi per immagini. Fondamentale nella politica culturale dell’Oratorio fin dai suoi esordi è la devozione a Maria Vergine il cui culto fu promosso dalla Congregazione in antitesi al protestantesimo e in applicazione alle disposizioni tridentine. Il proposito di Filippo fu dunque quello di esaltare nella sua chiesa la figura di Maria nel mistero della redenzione umana attraverso un itinerario didattico-spirituale che dimostrasse il ruolo della Vergine nella storia dell’umanità, grazie a un programma iconografico articolato per 12 episodi salienti della sua vita. Essa è rappresentata cronologicamente in modo antiorario iniziando dalla cappella del transetto sinistro con La presentazione di Maria al tempio per finire nel transetto destro con l’Incoronazione di Maria assunta in cielo. L’intera decorazione delle cappelle doveva essere coerente con i soggetti delle pale d’altare. I temi rappresentati si ispirarono in parte ai misteri del rosario, raffigurando i passi scritturistici più significativi nei quali la Vergine è protagonista. Anche quando i dipinti mostrano delle scene cristologiche come la Deposizione o l’Ascensione, la Madonna è una presenza attiva, mediatrice di grazia ed ausiliatrice. Maria che era stata prescelta ancor prima della creazione del Mondo (Efesini 1,4) come madre del Verbo incarnato è il primo passo verso la nascita dell’umanità redenta da Cristo e l’origine della Chiesa.

In un documento ACOR, C I 26 “Condizioni con le quali si ha da concedere le cappelle” si fa esplicito riferimento al programma di intitolazione delle cappelle ideato da Filippo.  Le condizioni di cui parla il documento venivano subordinate al consenso della Sede Apostolica e rispecchiavano le direttive impartite dal cardinale Savelli, Vicario di Roma, in occasione delle visite apostoliche alle chiese romane attuate al fine di applicare sul territorio le norme del Concilio di Trento.

E’ importante ricordare che in questa iniziativa pastorale voluta dal cardinale Vicario nel 1569 furono coinvolti anche alcuni sodali filippini come il Tarugi e il Bozio ancor prima del riconoscimento ufficiale del movimento sorto intorno a Filippo, arrivato nel 1575. Tale occasione di collaborazione – oltre a rappresentare una completa sinergia tra la gerarchia ecclesiastica e il movimento nato intorno a Filippo – permise a questi oratoriani ante litteram di intervenire sul degrado degli edifici sacri e dei loro arredi acquisendo un’esperienza e una sicurezza che ritornò utile nel momento in cui fu affidata loro la parrocchia della Vallicella. Nel 1575, il primo anno giubilare indetto dopo la conclusione del concilio di Trento, Filippo vide il sodalizio di sacerdoti che viveva con lui diventare una Congregazione religiosa di preti e laici, istituita con la bolla Copiosus in Misericordia Dominus da papa Gregorio XIII. Nello stesso documento si fa menzione al luogo che viene assegnato al nuovo organismo religioso per lo svolgimento del suo ministero: la chiesa parrocchiale di santa Maria in Vallicella. La chiesa dedicata alla Natività di Maria, a navata unica con tre cappelle laterali, era stata trascurata dai precedenti rettori tanto che all’arrivo dei padri essa si trovava in condizioni fatiscenti. La Congregazione consultò un architetto, Matteo Bartolini da Città di Castello che, esaminate la struttura e le fondamenta, stabilì che sarebbero stati necessari ingenti lavori di restauro tali da consigliare la demolizione dell’edificio esistente e la costruzione di una nuova chiesa. La decisione di demolire la fatiscente chiesetta ebbe effetto immediato.

La nuova chiesa che sarà per antonomasia chiamata “Chiesa Nuova” mantenne l’antica dedicazione mariana alla quale si aggiunse, in omaggio al pontefice regnante, il titolo di S. Gregorio Magno.

Padre Filippo prima e la Congregazione poi mantennero il controllo delle immagini raffigurate all’interno della Vallicella attribuendo al contenuto delle pitture ammesse nella decorazione della chiesa un significato prioritario. Sul finire del 1580, il ricco e dotto cardinale Pier Donato Cesi (1522-1586) si avvicinò alla Congregazione degli oratoriani prendendola sotto la sua protezione. La presenza del cardinale segnò per la Congregazione il passaggio dal controllo esclusivo sulla fabbrica e sulle commissioni artistiche alla legittimazione di una figura di protettore-committente munito di importanti prerogative che potevano mettere in crisi l’autonomia degli Oratoriani. Tuttavia, non fu la presenza del cardinale Cesi e successivamente del fratello Vescovo d Todi, ad alterare il programma decorativo ideato da Filippo che ancora oggi possiamo ammirare.

Punto di partenza di questo percorso concepito come una Via Vitae della Vergine, è l’altare maggiore già riservato alla Natività di Maria. Fu commissionato a Federico Barocci la realizzazione di un dipinto con questo soggetto che non fu mai consegnato. Nel 1606 la Congregazione decise di trasferirvi l’antica immagine miracolosa della Vergine vallicelliana che si trovava dipinta sul muro esterno di un edificio vicino alla vecchia chiesa, quando (nel 1535) fu colpita da un sasso lanciato da un giocatore ubriaco e incominciò a sanguinare. Questa sostituzione (la pala della Natività di Maria con l’antica icona vallicelliana) rappresentò la principale variazione del programma decorativo ideato da Filippo anche se non ne alterò il significato.

Viene legittimo chiedersi perché questo programma decorativo non fu realizzato a partire della sua origine concettuale? La decorazione pittorica della Chiesa Nuova progredì parallelamente allo sviluppo della fabbrica e l’altare maggiore con la tribuna furono le ultime parti dell’edificio ad essere costruite. Il grande successo che riscosse la pala della Visitazione (1586) indusse la congregazione a richiedere al Barocci, che si può considerare definitivamente il pittore prediletto da san Filippo, altre tre pale delle quali solo una fu realizzata dopo 10 anni di attesa, la Presentazione di Maria al Tempio. Barocci non godeva di una buona salute, poteva lavorare solo per brevi periodi durante il giorno non riuscendo a smaltire la grande quantità di opere che gli furono commissionate.

Filippo, toccato in prima persona dalla grazia dello spirito santo infuso nel suo petto, muove dalla consapevolezza del principio che Maria è il Tempio dello Spirito Santo e questo principio è alla radice della scelta iconografica dei soggetti dei quadri della Vallicella. Essi sviluppano i temi mariani in modo così circostanziato e aderente ai sacri testi che mentre descrivono un episodio della vita della Vergine, lo commentano, essendo a un tempo preghiera, predica e inno a Maria.

Nove su dodici dipinti sono tratti dai misteri del Rosario. L’infanzia e la giovinezza di Maria sono trattate nelle cappelle di sinistra dove si dimostra la causa-effetto dello spirito santo. Gradualmente si arriva nella navata destra dove si passa dalla vita sulla terra alla vita celeste, dalla vita “con la grazia” alla vita “nella grazia”. Le decorazioni sulle volte delle cappelle sviluppano programmi iconografici correlati alle rispettive pale d’altare, offrendo altri spunti di meditazione.

La presentazione di Maria al tempio. Commissionata nel 1593 e consegnata dieci anni dopo, la pala affronta un tema tratto dai Vangeli apocrifi la cui celebrazione soppressa da Pio V fu ripristinata da Sisto V nel 1585. Forse la decisione papale influì sulla decisione di inserire questo episodio dell’infanzia della Vergine che rappresenta l’inizio del percorso biografico della vita della Vergine. L’opera è costruita prospetticamente sull’asse della scala dove i personaggi disposti lungo le direttrici di due diagonali sottolineano la figura della vergine bambina, punto focale del dipinto. La presentazione segna la totale e consapevole consacrazione a Dio di Maria, il primo passo del suo percorso di santità. Nell’episodio narrato nel protovangelo di Giacomo un ruolo importante è assunto da Anna e Gioacchino che sebbene anziani vengono coinvolti nel miracoloso concepimento consapevoli del ruolo della figlia nell’opera di riscatto dell’umanità. Un angelo a sinistra porta delle rose e dei fiori bianchi che alludono alla Immacolata Concezione di Maria.

Nella cappella successiva è descritta l’Annunciazione, l’incontro dell’arcangelo Gabriele con la Vergine, il momento in cui ha luogo l’incarnazione del Verbo nel seno di Maria. Nel dipinto di Passignano il concetto dell’Immacolata Concezione è ribadito dalla simbologia floreale: si notino le rose esibite dagli angeli nella parte alta del dipinto e grande risalto assume il vaso di vetro al centro del quadro con rose bianche e mughetti che sottolineano con il loro candore la purezza di Maria. Sulla cornice del timpano appaiono i simboli di alcuni appellativi mariani che dalla loro definizione latina che veniva usata durante la recita delle litanie che per la maggior parte dei fedeli dovevano risultare concetti astratti spesso incomprensibili, assumono un aspetto e una forma concreta rendendosi visibili:

Porta clausa: città circondata di mura e fortificata, al centro figura soli seduta in un trono

La porta clausa di Ezechiele (44, 2,3) e l’ Hortus conclusus (giardino chiuso con sul davanti tre gradini che portano a una porta chiusa nel mezzo di una balaustra, dietro la quale si vede una fontana, il fons signatus (fonte sigillata; signum è il sigillo) sono epiteti (Cantico  4,12), che  evocano il nascondimento e la verginità di Maria, non fecondata da seme umano.

Stella Matutina: si vede il sole alzarsi da dietro un monte, a destra una stella e sul davant figure in adorazione. (Quasi stella matutina in medio nebulae, Eccles. 50, 6). Maria è allo stesso tempo l’araldo della nuova aurora e la stella che precede il sole di giustizia.

Templum Salomonis: davanti ad un tempio con sette colonne si vede una figura muliebre che ha in mano un libro (liber sapientiae). Dio nella sua sapienza preparò il corpo e l’anima della Beata Vergine quale sua abitazione ed i pilastri di questa abitazione sono le sette virtù teologali.

Sedes sapientiae: dietro una tenda si vede la sede in forma di trono posto sotto un baldacchino. I sette gradini che vi conducono simboleggiano i sette doni dello Spirito Santo e significano allo stesso tempo l’ascensione dell’umanità verso Dio, attraverso Maria che è sede della Sapienza, poiché porta in sé colui che è la sapienza del Padre, Gesù Cristo, venuto per illuminare ogni uomo.

Vitis abundans et arbor sapientiae, cioè la vite fruttifera e l’albero della Sapenza. La vite che si vede a sinistra e dalla quale varie figure colgono l’uva è prototipo della Madonna e del Cristo che ci nutre del suo sangue sotto la specie eucaristica del vino. La vite è messa in contrasto coll’albero nel giardino dell’Eden che si vede sullo sfondo, fiancheggiato da Adamo ed Eva, figure allusive al Cristo, nuovo Adamo e a Maria quale nuova Eva, per azione dei quali l’albero della Sapienza è trasformato in albero di vita.

Civitas sancta: ossia la nuova Gerusalemme (così viene definita Maria in Ap 21,2).

La città sorge su un alto monte intorno al quale si vedono figure danzanti e giubilanti.

Nel suo dialogo, l’arcangelo Gabriele spiega a Maria che il suo concepimento per intervento divino sarà virginale e le fà l’esempio della sua parente Elisabetta che, seppure vecchia e sterile, ha da sei mesi concepito il Battista. E’ il tema affrontato nel quadro della successiva cappella, la Visitazione. Questo dipinto era particolarmente amato da Filippo davanti al quale si tratteneva in preghiera. Per l’essenzialità della composizione e l’espressività dei personaggi, ispirata a sentimenti di cristiana letizia, si è giustamente parlato di un’affinità spirituale tra il pittore e il Santo. Possiamo ritenere la Visitazione l’opera più emblematica della religiosità del Santo, di cui Barocci fu l’interprete più sensibile. L’incontro tra Maria ed Elisabetta è un nuovo incontro con lo Spirito Santo. La volontà di Maria di condividere la gioia della maternità e il desiderio di rendersi utile alla cugina, la spinge ad affrontare il viaggio per raggiungerla. E’ già questo un segno di carità cristiana attraverso il quale Maria trasmetterà la grazia di cui è ricolma. Tutto si esplicita nella gioia del saluto che non appena pronunciato da Maria fa esplodere in Elisabetta lo Spirito Santo e Giovanni Battista danza nel ventre di Elisabetta riconoscendo il Messia, compiendo così la prima espressione della sua missione di precursore. Le parole pronunciate da Elisabetta ribadiscono e completano il messaggio dell’Angelo dell’Annunciazione e Maria pronuncia il Magnificat, il cantico di ringraziamento a Dio che ha ricolmato di doni la sua stessa povertà. Sono questi temi, cari a san Filippo, prodigo nei confronti degli umili e dei poveri ai quali ha elargito i doni che egli stesso aveva ricevuto da Dio. Questo è l’insegnamento della Visitazione: Maria ha ricevuto la Grazia perché sia comunicata a tutti. Quando Maria rende grazie a Dio, dà compimento alla grazia ricevuta. Il nesso tra i personaggi della scena è fortissimo: Elisabetta loda Maria ed Ella loda Dio, ogni grazia termina in azione di grazia.

Conoscendo il controllo della Congregazione sull’iconografia delle pale d’altare, desta curiosità la veduta di Urbino con le stallacce e la chiesa di san Francesco. Questa veduta ha un valore politico religioso, richiamando simbolicamente la presenza del duca di Urbino, Francesco II della Rovere e ricordando il suo legame con la Congregazione esplicitato nel tentativo di affidare i vescovati di Urbino e di Senigallia a Tommaso Bozio e a Cesare Baronio.

La presenza di Sapienza e Fortezza nel sottarco si riferisce a quanto annunciato dall’arcangelo Gabriele a Zaccaria, padre del Battista, prima della visita di Maria: “Il Battista lo precederà con lo Spirito e la Fortezza di Elia per ricondurre i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto” (Luca 1,1).

Con la cappella dedicata alla Natività di Gesù, si giunge ad un punto saliente nel percorso devozionale. Siamo al centro della navata sinistra in significativa simmetria nella navata destra con l’episodio dell’Ascensione il termine estremo della vicenda terrena di Cristo. Nella pala della Natività di Durante Alberti è introdotto un elemento iconografico inequivocabilmente allusivo al sacrificio di Cristo: l’agnello con le zampe legate vicino alla culla. Il tema della morte viene sviluppato nella decorazione della cappella: nel sottarco gli stucchi raffigurano il calice e la patena, la navicella e il turibolo fanno riferimento al sacrificio di Cristo che si rinnova nella messa attraverso l’Eucarestia. Gli angeli con le palme alludono al sacrificio dei martiri che, guidati dallo spirito santo, hanno imitato Cristo.

La cappella successiva è dedicata all’Adorazione dei Magi. L’opera di Cesare Nebbia ripropone la solita iconografia dei tre re in adorazione del Bambino. Nell’Epifania si commemora la rivelazione della divinità di Cristo ai Gentili, ossia ai pagani, ai non ebrei rappresentati dai Re Magi, espressione della chiesa universale. Ciò può spiegare la presenza di san Paolo sulla volta, l’Apostolo dei Gentili, e degli evangelisti Marco e Luca entrambi compagni di Paolo nell’attività di apostolato.

L’ultima cappella della navata sinistra ospitava l’effigie miracolosa della madonna Vallicelliana che viene trasferita sull’altare maggiore. La realizzazione del dipinto che la sostituì è piuttosto tarda, Filippo è morto da venti anni e in Congregazione si discute se rappresentare sant’Agostino e Carlo in onore del patrono della cappella, il cardinale Agostino Cusano. Al termine delle discussioni, prevale la volontà di rispettare il programma iconografico originario che prevede per tutte le cappelle la rappresentazione di un episodio della vita della Vergine. Si stabilisce di raffigurare sulla volta i santi Agostino e Monica (madre di Agostino) in onore del cardinale e sant’Ambrogio, protettore della città di Milano, città natale del committente. L’episodio della Purificazione di Maria segna un’altra tappa sul percorso di esaltazione della Vergine in funzione cristologica rappresentando il momento in cui Simeone riconosce in Gesù il Messia che il personaggio barbuto sulla destra, attraverso il movimento delle dita, indica come l’Unigenito. Nello stesso incontro, Simeone predice alla Vergine la Gloria e il Sacrificio di Gesù e il dolore che dovrà sopportare. L’episodio segna una logica congiunzione nella narrazione di questo percorso attraverso le immagini. Siamo nella prima cappella della navata destra, dedicata alla Crocifissione di Gesù.

Dei misteri dolorosi ricordati nella preghiera del Rosario sono stati scelti due soggetti (la Crocifissione e la Deposizione) in cui è rappresentata con grande evidenza l’addolorata partecipazione di Maria al martirio del Figlio sulla croce. Il drammatico quadro della Crocifissione di Scipione Pulzone, in cui il corpo esanime del Cristo sulla croce si staglia su un compatto fondo scuro, mettendo in risalto le figure della Vergine, di Giovanni e della Maddalena ai piedi della croce, ebbe un grande successo di pubblico. Solo al padre Velli, si legge in una lettera, dava fastidio una goccia di sangue che cade sul volto del crocifisso mentre la scia di sangue che scorre lungo e braccia del Cristo sembrano voler sfidare la legge di gravità. Nella storia della salvazione del genere umano sono preliminari l’intercessione di Maria e il sacrificio del Figlio. Così Maria partecipa alla passione di Cristo nella pala di Scipione Pulzone e in quella della deposizione di Caravaggio dipinto che si trova oggi nella Pinacoteca Vaticana.

La cappella successiva ospitava un dipinto che rappresentava la Pietà realizzata da un autore sconosciuto che aveva raffigurato insieme all’episodio della passione anche l’effigie di Gregorio XIII. Questo quadro fu sostituito nel 1602 probabilmente proprio per la presenza del papa che, sebbene molto legato alla Congregazione, era pur sempre un personaggio contemporaneo e come tale ritenuto d’ostacolo al processo meditativo. La Deposizione di Caravaggio si svolge la sera del venerdì Santo nell’hortus citato nel vangelo di Giovanni, ambientazione cui allude la presenza del fico sullo sfondo. Cristo è sorretto da Giovanni Evangelista e da Giovanni d’Arimatea. Dietro vediamo la Vergine con le braccia aperte e lo sguardo teso verso il figlio morto, la Maddalena che asciuga le lacrime con un fazzoletto e Maria di Cleofa che dà voce al proprio dolore volgendo le braccia verso l’alto. La forza drammatica presente nel dipinto è attutita da alcuni elementi che alludono alla vittoria sulla morte. La pietra sepolcrale in scorcio è la pietra angolare ovvero Cristo secondo la metafora del Salmo 118,22, “la pietra rifiutata dai costruttori è divenuta testata d’angolo” così come Cristo respinto ucciso e sepolto viene esaltato con la Resurrezione dai morti. Gli stucchi alla base dell’arco raffigurano due angeli con gli strumenti della passione, la corona di spine e i chiodi della croce e nel sottostante riquadro è dipinta la Pietà, momento intermedio tra la crocifissione e la sepoltura. Al centro del sottarco, due angeli sostengono il lenzuolo che riporta la sacra effigie della Sindone, cioè del corporale in cui gesù fu avvolto e che trattenne l’impronta del suo corpo.

Segue la cappella dell’Ascensione per la cui pala la Congregazione stabilisce che vi sia dipinta la Madonna in coerenza con il programma mariano ideato da Filippo, anche se il racconto biblico narra che Gesù salì al cielo con il suo corpo alla presenza dei suoi apostoli per unirsi fisicamente al Padre. Al tema del martirio quale massimo esempio di imitazione di Cristo richiamano gli strumenti della passione dipinti nel sottarco: la croce, la colonna, la scala, la lancia con la spugna, il velo della Veronica. Cristo, prima di salire al cielo istruisce gli apostoli sulla loro futura opera di evangelizzazione, annunciando loro che sarebbero stati battezzati nello Spirito Santo, tema che ci porta alla cappella successiva. La discesa dello Spirito Santo sugli apostoli e la Vergine. Nel sottarco sono raffigurati alcuni episodi tratti dall’Antico Testamento in cui è descritta l’operosità dello Spirito Santo: la colonna di fuoco che guida gli ebrei fuori dall’Egitto (Esodo 13,21); la visione delle ossa aride riportate in vita dallo Spirito Santo come raccontato da Ezechiele (37, 1-14); dodici trombe, che alludono ai dodici apostoli.

La cappella successiva, dedicata all’Assunta offriva un ricco programma iconografico, oggi andato in parte perduto. Sui lati esterni dei pilastri, in stucco, si può ancora vedere l’Arca di Noè e Giona inghiottito dalla balena: i temi allusivi alla Resurrezione e al patto della salvezza rimandano alla glorificazione di Maria, elemento di intercessione tra Dio e gli uomini per la loro salvezza eterna. L’arco della cappella è adorno di formelle in stucco dorato – alla maniera della cappella dell’Annunciazione che le sta di fronte – in cui sono raffigurati episodi dell’antico testamento, connessi alla figura di Maria. Al centro dell’arco la Madonna Vallicelliana, a sinistra Abramo ospita i tre angeli che gli annunciano che Sara partorirà un figlio: la scena prefigura l’annunciazione, i tre angeli simboleggiano la Trinità. Di seguito, Il sacrificio di Abramo che sta per uccidere Isacco, metafora del sacrificio della croce che non dev’essere intesa come un puro fatto immanente alla storia, bensì come intervento di Dio che si presenta agli uomini come il suo messaggio liberatore e nello stesso tempo vincolante. Il sogno di Giacobbe: una notte Giacobbe fece un sogno in cui vide una scala da terra si protendeva sino in cielo, con angeli che salivano e scendevano. Nel sogno Dio gli parlava, promettendogli la terra sulla quale stava dormendo ed un’immensa discendenza. La scala di Giacobbe è simbolo che richiama la Madonna (scala Coeli) per la quale Dio scese verso l’umanità facendosi uomo e l’umanità può risalire verso Dio. Dall’altra parte dell’arco, a destra della vergine vallicelliana, l’albero di Jesse, ossia l’albero genealogico di Cristo e di sua Madre, incominciando da Jesse, padre di Davide. Tra i rami si vedono figure di re e di principi, tre da ogni parte, ed alla testa dell’albero poggia l’immagine della Vergine. Di seguito, I leviti portano l’arca dell’alleanza, simbolo della Madonna che viene venerata come Foederis Arca nelle sue litanie perché ha accolto Gesù, colui che è la nuova ed eterna alleanza. Nell’ultimo riquadro, Ester genuflessa davanti ad Assuero che le porge il suo scettro dorato in segno di perdono. Ester che, come Giuditta, liberò il suo popolo e portò la salvezza ad Israele, è prototipo della Vergine che cambia le sorti dell’intera umanità, dando alla luce il Verbo.

L’ultima tappa di questo percorso è la cappella dell’Incoronazione della Vergine tratta da un Vangelo apocrifo. Nonostante la commissione al Cavalier d’Arpino risalisse al 1592, il pittore consegnò il grande quadro solo nel 1615 con disappunto dei Padri che pretesero immediati e significativi ritocchi perché il dipinto non corrispondeva alle aspettative della Congregazione non tanto per motivi estetici quanto iconologici: nella prima versione, la Vergine che si mostrava con il mantello sul capo e a mani giunte con gli avambracci protesi verso Cristo in un atto di preghiera offriva di sé un’immagine di fede e di speranza. Successivamente, effettuate le modifiche volute dagli oratoriani, la flessione delle mani al petto trasforma la scena in una immagine di accoglienza: la Vergine infatti è al cospetto dell’Altissimo, ricolma di carità. E’ dotata della terza virtù teologale, la più grande, quella cui fa riferimento san Paolo quando invita gli uomini all’unità in Cristo nella prima lettera ai Corinzi (13,13).

Ancora una volta, gli oratoriani dimostrarono di avere le idee molto chiare su come le sacre immagini dovessero essere rappresentate.

Nella sequenza scenica un nuovo strumento di conoscenza espresso per immagini favorisce l’apprendimento del fedele della parabola terrena e celeste di Maria, Madre della Chiesa e dell’umanità redenta in Cristo, attraverso il concatenamento degli episodi raffigurati di cappella in cappella. Si tratta di una sequenza connessa logicamente corrispondente anche se non coincidente con la corona del rosario, il breviario dei poveri, e come il rosario diventa uno spunto di meditazione sul Vangelo rivissuto in queste 12 stazioni.

Numerose sono le cronache che narrano come i visitatori che entravano alla Vallicella si esprimessero con termini entusiastici ritenendo di trovarsi, per la quantità delle opere d’arte e per la varietà delle scuole pittoriche rappresentate, in un museo sacro. Tutti i dati e le testimonianze sulla personalità di Filippo indicano che lui pensava esattamente il contrario: egli non considerava che queste opere rappresentassero una collezione d’arte poiché ne apprezzava prima di tutto la dimensione devozionale,  ritenendole lo strumento di preghiera capace di trattenere più a lungo e con più efficacia Dio nel cuore.